Come dicevo nell’ultimo post, durante Più libri più libri l’AIE (Associazione Italiana Editori) ha presentato uno studio dal titolo “Nuove evidenze: i blogger muovono le vendite?“, invitando come commentatori Noemi Cuffia (@tazzinadi) e Jacopo Donati di Finzioni. La ricerca, di carattere quantitativo, contiene a mio modo di vedere parecchie lacune, e alcune di queste ho avuto brevemente modo di evidenziare in dei commenti informali espressi ai membri della stessa AIE la mattina della presentazione. La sensazione che ho ricevuto dalle loro risposte è che non sanno davvero come orientarsi; queste mie note critiche spero servano a farsi un’idea più precisa di ciò che avviene dietro le quinte dei blog cosiddetti letterari.
1) Quali blog?
La ricerca prende in considerazione “i 13 più noti blog letterari in Italia” – cito. Dai grafici desumiamo che almeno questi otto siano stati considerati: Finzioni, Minima&Moralia, Tazzina-di-caffè, Booksblog, Critica Letteraria, Bookfool, Gli Amanti dei Libri e Scrittevolmente. Dall’articolo di Repubblica che il 7 dicembre scorso anticipava i contenuti della ricerca apprendiamo invece che
le case editrici hanno espresso una lista dei blog più influenti, dal borgesiano Finzioni a Tazzina di caffè, e poi Minima Moralia, Booksblog, Critica letteraria, Ho un libro in testa, Letteratitudine, Bookfool, Vibrisse, Nazione Indiana, Il primo amore, Scrittevolmente, Amanti dei libri.
Dunque la classifica, per così dire, l’hanno fatta le case editrici. La domanda sorge spontanea: in base a quali criteri? Perché ci s’immaginerebbe che il successo, o meno, di un blog letterario lo sancisca l’universo dei lettori, non gli editori.
Ancora: che cosa significa “influenti”? È legittimo pensare che in una classifica stilata dagli editori l’influenza sia relativa, per l’appunto, alle vendite, ma questo non può essere perché si tratta esattamente di ciò che la ricerca intende misurare. Parliamo allora d’influenza “letteraria”? Culturale? E se sì, non dovrebbero essere, di nuovo, i lettori a sancirla?
Guardiamo poi ai 13 blog menzionati da Repubblica: almeno otto di essi sono costituiti da redazioni che vanno dalle 10 alle 50 persone, con più livelli di partecipazione; tre di essi sono emanazioni di testate giornalistiche e gruppi editoriali (Kataweb del Gruppo L’Espresso, Glamour e Vanity Fair di Condé Nast) e sono tutti e tre blog “mono-autore”; soltanto due, Tazzina-di-caffè e Vibrisse, sono blog di una singola persona non legati a una testata, un gruppo, un’azienda; uno è espressione diretta di una casa editrice. Per farla breve: questa lista è decisamente troppo eterogenea per costituire un campione valido. A meno che non si prendano delle cautele metodologiche e si fornisca una definzione operativa (in questo caso piuttosto ampia…) di blog letterario: ma una domanda che la ricerca non si pone, forse giudicandola oziosa, è proprio che cosa sia un blog letterario.
La confusione appare evidente con il caso di Vibrisse, di Giulio Mozzi: chi frequenta il web letterario non da ieri sa bene che Mozzi è uno dei suoi pionieri e uno di coloro i quali hanno contribuito a portare in Rete temi e discussioni sul mondo dei libri che prima avevano luogo altrove. Giulio Mozzi, in quanto scrittore ed editor è sicuramente una persona influente: lavora nell’editoria, ne conosce i meccanismi e le persone, può in una certa misura determinare il destino di un libro. Ma dire che Mozzi sia influente equivale a dire che il suo Vibrisse lo è altrettanto? Un blog, Vibrisse, dove peraltro da settembre a oggi (il periodo di riferimento della ricerca) non è apparsa una singola recensione o un articolo dedicato a un libro attualmente in commercio.
Di cosa stiamo parlando allora?
2) Quali libri?
La ricerca analizza i grafici delle vendite di alcuni titoli osservando se, nel momento in cui appare un post relativo a uno di quei titoli su uno dei blog considerati, le vendite subiscano delle fluttuazioni. Complessivamente sembrerebbe che non ci siano spostamenti di rilievo, e che dunque dei blog si possa fare, da un punto di vista commerciale, tranquillamente a meno. Tuttavia i limiti metodologici qui si fanno ancora più evidenti.
Un primo limite è che ci si riferisca solo alle vendite di libri cartacei effettuate in un universo di 1637 librerie; questo esclude le vendite on-line (Amazon, anyone?) e le vendite dei medesimi titoli in formato digitale. Seppur questa scelta sia comprensibile, per la difficoltà di accedere ai dati relativi, l’immagine che ne deriva fotografa solo una parte delle movimentazioni dei titoli.
Sulle librerie digitali, in particolare, bisognerebbe aprire una riflessione più attenta: queste vivono e prosperano in Rete, e dunque è ad essa, in particolare a quella parte di essa che s’interessa di libri, che prestano maggiore attenzione. I blog e le riviste letterarie, come si capisce, sono dei centri nevralgici di questa fetta di web, e un’interazione più strutturata potrebbe giovare agli uni e agli altri. Ricordo per esempio, quando ero caporedattore di Finzioni, sia le skype calls con lo staff di Bookrepublic per organizzare delle iniziative congiunte (mai partite, però), sia la proficua collaborazione che nell’estate del 2011 allacciai con Ultimabooks per creare la “Digiteca“, una rubrica di recensioni brevi di titoli in digitale; l’accordo prevedeva che i singoli redattori scegliessero liberamente i titoli da recensire e che questi venissero forniti gratuitamente dalla libreria. Si trattò di un esperimento i cui risultati (in termini di traffico e di risonanza) non ho mai pubblicamente commentato, ma che in realtà farebbero immaginare delle modalità di interazione tra blog, editori e librai digitali per lo meno interessanti. Non essendo questa la sede per farlo, rimando tale compito a un post futuro.
Un secondo e più consistente limite sta nella scelta dei titoli oggetto d’indagine: si tratta esclusivamente di libri pubblicati da grandi case editrici: Einaudi, Mondadori, Feltrinelli, Bompiani; a questi si aggiungono due titoli di Minimum Fax e uno di ISBN, due editori che sarebbe comunque sbagliato considerare piccoli. Titoli che possono contare su una macchina promozionale efficace e potente – come ammette la stessa ricerca – anche al di fuori del lit-web: recensioni e segnalazioni su quotidiani e riviste, comparsate degli autori in programmi televisivi di successo, segnalazioni da parte di celebrità del mondo dello spettacolo.
Se metodologicamente più corretto sarebbe apparso stabilire e poi dichiarare dei criteri per la scelta dei titoli, molto più interessante sarebbe stato monitorare – non esclusivamente, ma in parallelo a quelli delle grandi case editrici – i titoli di piccoli e medi editori, quei titoli che hanno tirature di poche centinaia di copie e per i quali una variazione in positivo delle vendite anche di poche decine di unità potrebbe significare una variazione percentuale significativa. Si sarebbero potuto, poi, scegliere titoli diversi in base al genere (gialli, romance, romanzi storici etc.); poiché, come la ricerca riconosce, in Rete esistono blog altamente specializzati su precisi generi letterari, questo avrebbe consentito un’osservazione più intensiva – e, insieme, una mappatura – delle comunità di lettori in Rete.
Quali conclusioni?
Appare evidente che chi ha svolto la ricerca non ha alcuna familiarità con il lit-web, ma questo è un limite a cui si può ovviare ribaltando il riduttivo carattere quantitativo della ricerca in un più proficuo approccio qualitativo. Ora, io capisco bene come l’AIE, che rappresenta gli editori, dunque delle aziende, abbia un forte interesse per i numeri, in particolare per le vendite. E capisco ancor meglio che ora che i lettori forti sono sempre di più presenti nei luoghi della Rete, gli editori vogliano raggiungerli. Questo è giusto.
Ma il punto qui è un altro.
Il punto è che gli editori fanno promozione solo per i propri titoli, mentre i blog fanno promozione della lettura tout court. Avete mai visto Feltrinelli promuovere un libro Rizzoli? Mondadori promuoverne uno di Bompiani? No, né li vedrete mai. I blog invece – con delle differenze, si capisce – parlano di libri, non di marchi editoriali. Lo avevo già detto: i blog sono agenzie di socializzazione, che, in maniera aggregata, rappresentano anche mappe concettuali del presente. I blog sono luoghi di cultura a tutti gli effetti. E dunque chi li gestisce è richiamato a una vera e propria responsabilità civile, come custode di uno spazio pubblico, abitato dai lettori.
Quello che sta accadendo è che gli editori si sono accorti (non da oggi) dell’esistenza di questi spazi/comunità e stanno provando a colonizzarli. Dico subito che ciò è comprensibile, persino naturale: non sono certo così naïve da pensare che un’azienda privata debba smettere di perseguire il proprio interesse in nome di un senso della collettività che geneticamente non gli appartiene. Ma proprio per questo credo che i blog, soprattutto quelli che si basano sul lavoro volontario e gratuito di un gruppo di persone, debbano tutelarsi attraverso la messa in atto di pratiche di trasparenza sempre più precise.
Ciò che nel migliore dei casi è naïve e nel peggiore un insulto all’intelligenza è affermare cose come “noi scriviamo solo dei libri che ci piacciono e non ci poniamo il problema degli editori”. Se ciò fosse vero rappresenterebbe il segno evidente di un’irresponsabilità morale, culturale e sociale; e nel negare il “problema” degli editori non farebbe altro che consentire a questi la privatizzazione di uno spazio e di un’intelligenza collettivi, in cui pochi traggono beneficio dal lavoro di molti, e chi ne resta danneggiato, in ultima istanza, sono i lettori. Con gli editori, invece, bisogna parlare da pari, senza alcun timore reverenziale, negoziando con loro e facendolo, se possibile, in nome di valori come la trasparenza, la collegialità, la ricerca della qualità.
Io qualche soluzione pratica ce l’avrei, e si dà il caso che [messaggio promozionale] l’abbia scritta in un libro che uscirà a gennaio [fine messaggio promozionale]. Se può interessare a qualcuno – editore o rivista, blogger o centro di ricerca – gli do appuntamento a dopo le feste.