Oggi sarei dovuto essere a IfBookThen 2013, a Milano, ma l’influenza mi ha tenuto a casa e me ne dispiaccio. Non solo perché s’impara sempre tanto in queste occasioni, ma perché avrei avuto modo di salutare di persona tante persone e tanti amici, colmando la distanza fisica di un contatto che vada al di là di email e sms.
Dal divano di casa, seguo l’incessante flusso di tweet sullo schermo del computer, le foto, i commenti salaci e quelli critici. La conferenza serve a fare il punto sullo stato dell’arte nell’editoria, o più precisamente serve a presentare le intersezioni tra tecnologia e produzione di contenuti sotto forma di business models. Che, di per sè, mi pare una cosa ottima perché guardando quello che fanno gli altri si può imparare molto.
Poi mi sono ricordato della prima volta in cui sono andato a IfBookThen, nel febbraio del 2011, o, detta in altri termini, agli albori dei discorsi sull’editoria digitale in Italia. Nel programma c’era anche un intervento – o meglio, un’intervista in diretta – ad Alessandro Piperno; che, francamente, non esaltò nessuno: lo scrittore bellamente si limitò a dire che le tecnologie e i cambiamenti che queste arrecano alla scrittura e alla lettura non gli interessavano. Empaticamente, è una posizione comprensibile: mica uno scrittore (soprattutto un letterato come Piperno) deve per forza interessarsi di html, drm, formati, conversioni e così via… e poi, ricordiamolo, era l’inizio del 2011: di editoria digitale in Italia si parlava da meno di un anno ed era normale che a farlo fossero solo pochi pionieri.
Ora, però, siamo a marzo 2013. Sono successe tante cose nel frattempo: sono arrivati gli e-reader, i tablet e gli smartphone sono diffusissimi, i negozi on-line dove acquistare ebook sono tanti e tutti ben funzionanti; gli editori hanno digitalizzato pezzi interi di catalogo e fanno uscire le novità direttamente in digitale; si sono moltiplicate le collane digital only. I giornali e i media dedicano sempre più spazio alle evoluzioni tecnologiche e di contenuti. Sono sempre di più i lettori che trovano piacere e convenienza nella lettura digitale, nonostante – o forse: a causa di – la crisi economica.
E gli scrittori? Dove sono stati e dove sono ora gli scrittori?
Si dice, nell’ambiente, che content is king. Che i contenuti sono la prima cosa. Gli informatici si rompono il cervello cercando di capire cosa fare con questi “contenuti”, come romperli in unità più piccole, taggarli, collegarli l’uno all’altro, usarli come veicolo di pubblicità e di altri contenuti, associarli a servizi e così via. Ma qualcuno dovrà pur produrli questi contenuti no? E sarebbe bene che, in virtù di una concorrenza sempre più spietata nel mercato dell’attenzione del lettore, fossero contenuti di qualità indubbia, di standard elevato. Nel caotico mercato dei contenuti digitali, solo la qualità può avere successo.
Cosa fanno allora gli scrittori? Perché non li vedo mai alle conferenze, ai convegni? Perché non partecipano a un dibattito che riguarda drammaticamente da vicino le condizioni di possibilità del loro lavoro?
Ci sono eccezioni, certo. C’è chi, tra un affanno e un altro, fa esperimenti, come i Wu Ming. Ma loro non fanno testo, sono vent’anni che frequentano la Rete e le tecnologie digitali, e quindi non possono essere rappresentanti di categoria. Ci sono gli scrittori e i critici che gravitano intorno ai più datati blog letterari: Nazione Indiana, Il Primo Amore, Lipperatura, Vibrisse. C’è qualcuno che gravita nella galassia TQ. Ma sono sempre gli stessi, e l’impressione è che si parlino addosso, sempre più spaventati da trasformazioni che non sono in grado di comprendere e men che mai di governare o per lo meno d’influenzare.
Eppure chi meglio degli scrittori di professione potrebbe contribuire a dare degli indirizzi precisi ai dibattiti sul futuro dell’editoria, cioè su un bel pezzo del futuro della cultura nazionale?
Mentre questi tentennano, o si arroccano su posizioni di deciso conservatorismo, alle porte dell’editoria italiana premono le orde dei self-publisher, metà scrittori e metà imprenditori, barbari geneticamente modificati per adattarsi a un ecosistema in rapido mutamento. Eppure, se vogliamo sfuggire ai determinismi di un tristo darwinismo culturale, allora bisogna che gli scrittori si diano da fare per influenzare il cambiamento, per far sì che gli equilibri dell’ecosistema librario e culturale non pendano pericolosamente dal lato del mero entertainment. Ne va del loro stesso futuro.